
Oggi sono quattro mesi. Molto è cambiato, tanto è andato perso.
Molto ho dimenticato.
Ricordo i giorni subito dopo. La sensazione di uno strappo muscolare e un fastidioso mal di testa.
Poi il 19 marzo. Il termometro segnava 38 da ventiquattro ore e scendeva solo con la Tachipirina per risalire subito.
«Hai preso il mostro», mi aveva detto il medico, «sarà lunga, durerà giorni, tu stai tranquilla».
Non dava tregua e non aveva pietà. Portava via energie, progetti e lacrime. Per piangere ci vuole forza e io dovevo conservarla.
Sempre meno passi fuori dal letto, bagnato fradicio di sudore per la temperatura costantemente sopra a 39.
La poca aria che entrava in gola mi doveva bastare. Oltre, la tosse mi avrebbe soffocato.
Mi è rimasto il dolore ai piedi, il dolore di quando mi alzavo e barcollando cercavo di raggiungere il bagno o la cucina per un piattino di minestrone.
Dopo dieci giorni ho lasciato un messaggio sul blog, temevo di risvegliarmi in ospedale e di non avere più l’occasione per dire quanto amassi la mia famiglia e quanto fossi orgogliosa di tutto quello che avevo creato. Mi vergognavo di mostrarmi vulnerabile e avevo paura di essere dimenticata. Questo è ciò che ho capito dalla mia esperienza.
Mi è rimasto il dolore dell’ago per il prelievo arterioso, gli sguardi degli infermieri che sapevano e volevano farmi tornare a casa, la paura di infilare il tampone in gola e nelle narici, la sensazione brusca di un contraccolpo nella notte per il pericolo di un trombo respiratorio, l’impressione che l’aria potesse finire e che le mie gambe non mi reggessero per la stanchezza.
Mi è rimasto l’amore per il sole e per i fiori che guardavo la mattina in quei cinque minuti che resistevo attaccata alla finestra della camera, mi è rimasto il silenzio di Mattia per la paura di perdermi, mi è rimasto lo sguardo di Luca che si affacciava alla porta ogni ora della notte e se non mi sentiva tossire veniva a scuotermi. Mi è rimasta la paura che Jonny sapesse e il suo Erasmus finisse.
Mi è rimasta la gratitudine e il rispetto per il mio medico che mi ha chiamato ogni giorno, due, tre, anche quattro volte, durante la pausa pranzo, la domenica, senza sosta, trasmettendomi grande forza e ancora mi segue assiduo.
Mi sono rimasti i messaggi di tutti quelli che non sapendo hanno condiviso il meglio di loro stessi. I meme, gli smile, i video, gli appuntamenti con la ginnastica, l’arte, la cucina. C’ero anch’io in qualche modo.
Mi è rimasto l’amore dei miei fratelli che mi scrivevano tutti i giorni messaggio d’incoraggiamento e correvano in farmacia, di chi sapeva e non mi ha lasciata mai sola, di chi mi ha portato la spesa, di chi telefonava per un saturimetro, di mia cugina che ha attraversato i comuni per portarmelo, della mia nipotina che usava whatsapp, di mia madre che mi sentiva peggiorare e chiamava instancabile.
Grazie.
Poi una mattina la febbre non c’è più stata. Avevo vinto e dovevo iniziare a crederci. Non sarebbe tornato, ma il mio corpo era un campo di battaglia.
Wow!! Che guerriera! Ma soprattutto che esperienza pazzesca!
"Mi piace""Mi piace"
si scoprono forze nuove quando hai bisogno
"Mi piace"Piace a 1 persona